L'Aquila, 06 Aprile 2009

Le parti del nostro animo che la guerra ci ha strappato, ritorneranno al focolare.

domenica 18 ottobre 2009

Un fotogramma o una storia.

E' un dolore lancinante.
E' una vita intera che mi attraversa, quella passata e quella, incredibilmente imprevedebile, futura. Un san Luca che, in ogni caso, accompagna la chiusura per sempre di una vita, senza sapere quella che si aprirà, se mai ce ne sarà ancora una da aprire.
Avrei da scrivere moltissimo, da raccontare al mondo che si affaccia all'improvviso su di noi, cosa siamo stati prima, cosa siamo stati durante, cosa siamo stati dopo.
Vorrei raccontare la valanga di ipocrisia di chi si gira dall'altra parte e di chi guarda con sprezzante e disprezzante distacco.
Il 6 Aprile la nostra amata terra non ha retto più e un "blocco di crosta terrestre a Sud Ovest del piano ha scorso verso il basso di circa 90 centimetri e ha causato in superficie l’abbassamento del suolo". Otto km di rottura in superficie, 25 km di rottura in profondità. Motodi scorrimento veloce, piano di scorrimento lunghissimo, accelerazione impressionante, piano di faglia in profondità sotto la città, in superficie tra San Gregorio e Paganica. Un boato e poi mille boati. Una scossa e poi migliaia di scosse. Un urlo e poi migliaia di urla, il sangue, le lacrime, le macerie, le pietre, i ragazzi, gli elenchi, le ricerche, le attese, le vite individuali e le vite collettive, gli spot, i salvatori della patria e i contro, gli speculatori ed i loro speculari speculatori, il gas, l'acqua, le tende, le notti, gli avvoltoi di stato, i locali avvoltoi di professione, gli avvoltoi per indelebile malata perversione.
Crepe profonde. Collassi imprevisti. Sconquassi improvvisi.
Cave, caverne, caveau, Tian, gli Orti, Piccinato, il 75, i Peep, lo Stockel.
Dove i pannelli solari diventano scoop, mentre protezione civile regionale e genio civile provinciale scompaiono sotto traccia, tra ruoli commissariali e mazzi di fiori.
Una città classificata negli edifici e per qualcuno anche nei morti, a,b,c,d,e,f, con strutture provvisorie in sigle, c.a.s.e., m.a.p., m.a.r., m.u.s.p. e 4000 persone ancora nelle tende.
Una città dove i sindacati scompaiono quando non si trasformano in pro-loco di quartiere e che dimenticano i silenzi, il "ci sono altre priorità", l'indiffirenza di fronte a lustri di lotte.
Una città dove quasi tutti continuano a rivolgersi, anche per il ripartire, alle responsabilità altrui, non interrogando mai le proprie, che forse ignorano di avere, non avendo compreso i ruoli di tutti i nodi nel costruire una polis.
Una città dove orgogliosi, tenaci e coraggiosi cittadini vengono oscurati da furbi, furbastri e furbetti.
Una città con quasi tutti con gli indici dispiegati, troppo pochi con le maniche rialzate e sempre gli stessi con gli affari in cartellina.
Una città che ha un cuore straziato e puntellato, ed un cervello con spazi sinaptici "sbracati" in un territorio sempre più allungato.
Ed un mondo che si affaccia sull'Aquila attraverso estemporanee finestre, alla ricerca di un fotogramma che gli racconti una qualsiasi verità, senza sapere quella che invece è una storia, una lunga e straziante storia collettiva.
C'è la neve sul Gran Sasso, la nostra gelida acqua è come sempre abbondante, lo zafferano aspetta impaziente un raggio di sole caldo per farsi vedere, in questo assurdo duemilanove, in questo san Luca, ennesimo giorno d'emergenza, in attesa di un diverso domani.

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