L'Aquila, 06 Aprile 2009

Le parti del nostro animo che la guerra ci ha strappato, ritorneranno al focolare.

sabato 12 ottobre 2013

Ma noi chi siamo ?

Siamo un "noi" davvero ? E' l'antiliberismo il discrimine tra il noi e gli altri ? E' la laicità dello stato ? E' il patriottismo ? E' il conflitto di classe internazionalista ? E' l'onestà? la legalità? E' la democrazia deliberativa o la democrazia diretta? E' la democrazia liberale ? E' il pacifismo ? E' la Costituzione ? E' la meritocrazia ? E' il "benicomunismo" ? A parte usare i termini sinistra e destra, con quel noi, esattamente, cosa intendiamo ?

venerdì 26 luglio 2013

Ci si può difendere dal tempo ?

Onestamente non so se Ottaviano Del Turco abbia commesso o no i reati dei quali è accusato. Non so se l'accusa dei pm sia sostenuta da prove, indizi, sospetti, ipotesi, convinzioni o sensazioni. Non ho letto gli atti e quindi non entrerò nel merito dell'accusa, della difesa e della sentenza. Una cosa però credo di saperla abbastanza bene, purtroppo. So cosa significhi avere paura di non fare in tempo. E' una questione cruciale per ogni cittadino, figuriamoci per chi è accusato di reati nell'esercizio di funzioni pubbliche, ancor più se nell'esercizio di un ruolo politico, almeno per chi ai ruoli politici assegna ancora la giusta dimensione etica. E' una paura difficilmente eliminabile del tutto, perché il rapporto tra tempo, vita, caso, opinione pubblica e giustizia non può essere deterministico. E' una paura però che diventa mostruosa in Italia, per due abnormi storture: il tempo della giustizia italiana e lo stravolgimento semantico nel senso comune di fronte all'azione penale. E' devastante per tutti, per colpevoli e innocenti, per vittime e carnefici, per i cittadini e per le istituzioni, permettere che si arrivi a sentenze definitive dopo 5, 10, 15 anni. E' barbarie la costruzione “collettiva” della sentenza già all'apertura delle indagini, o ancor prima a volte, nella foga divoratrice di donne e uomini nel corto circuito tra giornalisti, imprenditori della comunicazione e cittadini bulimici, in cerca perenne di mostri cui scaricare le proprie frustrazioni e attraverso cui costruire i propri alibi quotidiani. E' barbarie la trasformazione dei procedimenti penali nell'opera, spesso kafkiana, di dover trovare prove per la propria innocenza. E' barbarie l'uso spropositato della carcerazione preventiva. Il punto è che oggi, nell'immaginario collettivo, si parte colpevoli e si rincorrono lustri per dimostrare la propria innocenza, sperando di avere lustri di vita a disposizione per fare questo, a volte solo questo. Prima di una sentenza definitiva di colpevolezza, non si può aver paura di morire colpevoli. Non è degno del paese di Beccaria, ma è questo quello che nella sostanza accade.

martedì 11 giugno 2013

un soffio per camminare

Ci provo lo stesso. Che dopo 4 anni trovassi un pantano in fondo mi era chiaro. Non ho certo disattivato l'osservazione, anzi. Ho visto scorrere, resistere o disgregarsi, fuggire e recidere. Scorrono, in alcuni casi incrociandosi, in altri parallelamente, piani di vita via via attivatisi. C'è quella sospesa, interrotta, che sto ricucendo meticolosamente, per far tendere i limiti del giorno prima con quelli del giorno dopo, una "discontinuità" si, ma nell'arco di una vita di fatto "funzionalmente eliminabile". Ci provo ogni giorno e in alcuni aspetti, indubbiamente costitutivi della mia identità, in fondo sembra quasi che ci stia riuscendo, si, oggettivamente ci stiamo riuscendo. Ci sono però i piani di vita partiti via via in questi lunghi, lunghissimi, cinquanta mesi. Sono piani di vita che ho osservato, su cui mi sono appena appena affacciato, che stanno scorrendo, senza precauzioni, e che hanno accumulato il loro carico di problemi, di arretrati, di nodi da sciogliere. Non posso scendere da nessuno di questi semplicemente facendo finta di niente. Devo salirci sopra, affrontarli d'impeto, alleggerirli di tutto il carico lasciato li in questi anni, lasciato in attesa di recuperare la parte più solida della mia testa, quella parte di me fino ad oggi concentrata a tenermi in piedi, a farmi resistere dentro il baratro, nell'inferno dentro e nell'inferno fuori. E dopo averli alleggeriti devo piegarli, riportarli sul piano di vita principale, funestato da anni terribili, ma dove c'è la parte migliore della mia vita, con le persone che per anni hanno subito, sopportato e gestito il mio inferno e che ora meritano la parte migliore di me. C'è il piano pubblico, quello cittadino e non solo, da piegare anch'esso sul mio piano di vita, perché non merita una mia fretta, né d'essere vissuto sconnesso dalla vita reale, non lo meritano le persone che l'albergano come fosse un mondo a sé, senza né i corpi delle persone, né le pietre di una città. C'è infine quel soffio sulle ferite sanguinanti, quel sollievo sull'anima che brucia. E' un soffio di una madre sulla ferita di un figlio, il soffio di un amante su un corpo pietrificato, è il soffio di un amico su un cuore inaridito. Starei lì, immobile, a godere per sempre quel soffio, lasciando tutta la mia vita lontana e fuori da questo improvviso, godevole rifugio. Sarebbe la mia fuga, penserei in fondo di meritarmelo, dopo tanto lancinante bruciare. Sarebbe un errore, uno splendido errore. Quel soffio e quel sollievo, che vorrei godere solo per me, devono invece farmi alzare, farmi camminare, devono farmi affrontare e pulire questi anni di arretrati, far riconvergere i piani. Non sarà facile rinunciare ad un rifugio, ma è meglio riprendere un cammino, ora che posso, che attendere che il soffio si esaurisca, lasciando ancora tutto in sospeso e bruciando insieme al rifugio usurato.

lunedì 10 giugno 2013

però...

Non è mica una banalità.

sabato 8 giugno 2013

è giunta l'ora di camminare

futile post, indubbiamente, essendo il blog totalmente inattivo. Eppure mi par giusto ricominciare, esattamente da qui, riprendendo un cammino, dopo anni di apnea. E' stato un lungo rifugio della testuggine, ora la testa è fuori, ci si guarda intorno e si riprende un lento e inesorabile cammino.

martedì 25 maggio 2010

Giovanni Falcone

“non si può investire della cultura del sospetto tutto e tutti. La cultura del sospetto non è l’anticamera della verità. La cultura del sospetto è l’anticamera del Khomeinismo”

martedì 6 aprile 2010

ora

ora, ore 3.45
Ero già uscito di casa.
Avevo già tirato fuori le macchine.
Non c'era ancora alcun traffico.
Il pensiero al quartiere intorno s.pietro, il più temuto.
Concitate, ma le prime telefonate, le più temute, erano andate.
Non salivo dunque per il vicolaccio, salivo ancora su, verso la villa.
Nel frattempo davanti l'anas il crollo totale aveva già dato la dimensione della tragedia.
La curva, un'ala staccata e da lì l'inferno, a destra a sinistra, in ogni dove.
ricordo tutti i volti, chi implorava e chi piangeva, chi fuggiva e chi impazziva.
Chi guardava, chi aspettava, chi arrivava, chi chiamava, chi mancava.
Uno per uno, dalla Villa in giù. Uno per uno.
Ricordo ogni secondo, di li in poi per alcune ore.
Finchè non arrivò lo Stato da fuori. Con le sue persone.
Finchè non arrivò il circo dei media. Con i suoi format.
Finchè non arrivarono in città i personaggi in cerca di un cachet.
La città non era più provinciale, era già spettacolo.
E le sue persone, con le proprie sofferenze, le proprie paure, le proprie forze, con il proprio coraggio, non divennero che una grande ambientazione.
Un paio di giorni, bastarono solo un paio di giorni, e a tradire la propria città e i propri morti erano già in fila a decine.
Di fronte a ciò, il rispetto per la comunità ha imposto sobrietà, in un anno di dolore e responsabilità.
Piangiamo oggi i nostri morti. Piangiamo ancora la nostra città.
Il rispetto per la comunità, per chi non c'è più, il rispetto per la nostra storia, e il dovere di costruire un futuro da vivere, impongono ora di chiudere lo spettacolo e suoi squallidi attori.
ora, ore 4.24
Chiedevo al vigile, quando, come, da dove.
ora, ore 4.26
in troppi, non avevano ancora capito, non avevano ancora saputo.
ora.