L'Aquila, 06 Aprile 2009

Le parti del nostro animo che la guerra ci ha strappato, ritorneranno al focolare.

martedì 6 aprile 2010

ora

ora, ore 3.45
Ero già uscito di casa.
Avevo già tirato fuori le macchine.
Non c'era ancora alcun traffico.
Il pensiero al quartiere intorno s.pietro, il più temuto.
Concitate, ma le prime telefonate, le più temute, erano andate.
Non salivo dunque per il vicolaccio, salivo ancora su, verso la villa.
Nel frattempo davanti l'anas il crollo totale aveva già dato la dimensione della tragedia.
La curva, un'ala staccata e da lì l'inferno, a destra a sinistra, in ogni dove.
ricordo tutti i volti, chi implorava e chi piangeva, chi fuggiva e chi impazziva.
Chi guardava, chi aspettava, chi arrivava, chi chiamava, chi mancava.
Uno per uno, dalla Villa in giù. Uno per uno.
Ricordo ogni secondo, di li in poi per alcune ore.
Finchè non arrivò lo Stato da fuori. Con le sue persone.
Finchè non arrivò il circo dei media. Con i suoi format.
Finchè non arrivarono in città i personaggi in cerca di un cachet.
La città non era più provinciale, era già spettacolo.
E le sue persone, con le proprie sofferenze, le proprie paure, le proprie forze, con il proprio coraggio, non divennero che una grande ambientazione.
Un paio di giorni, bastarono solo un paio di giorni, e a tradire la propria città e i propri morti erano già in fila a decine.
Di fronte a ciò, il rispetto per la comunità ha imposto sobrietà, in un anno di dolore e responsabilità.
Piangiamo oggi i nostri morti. Piangiamo ancora la nostra città.
Il rispetto per la comunità, per chi non c'è più, il rispetto per la nostra storia, e il dovere di costruire un futuro da vivere, impongono ora di chiudere lo spettacolo e suoi squallidi attori.
ora, ore 4.24
Chiedevo al vigile, quando, come, da dove.
ora, ore 4.26
in troppi, non avevano ancora capito, non avevano ancora saputo.
ora.