L'Aquila, 06 Aprile 2009

Le parti del nostro animo che la guerra ci ha strappato, ritorneranno al focolare.

sabato 31 maggio 2008

Viceministro ombra

Il Governo ombra si è arricchito.
Il premier ombra ha infatti nominato il viceministro ombra Damiano al Lavoro.
Inoltre il premier ombra ha anche nominato due consulenti ombra del governo (Vassallo e Stefano Fassina).
Oramai siamo alla farsa. ombra naturalmente.

venerdì 30 maggio 2008

giovedì 29 maggio 2008

dall'investigation day...

"La nuova sfida per l'Italia, in ritardo rispetto agli altri Paesi, e' quella di una banca dati del Dna"


in effetti. ci manca solo la banca dati del dna.

martedì 27 maggio 2008

La violenza, il machismo, la destra.

Oggi accoltellato uno studente dei collettivi a La Sapienza

Ogni giorno sta diventando un bollettino.

Si è dato il via libera, si sono sciolte le briglie.

Si continua a parlare di immigrati e di sicurezza,
di aggregazione e di sicurezza,
di diversità e di "sicurezza",
si evoca l'emergenza e a furia di evocarla la si attrae, la si provoca.

Si indica un nemico povero, un nemico extra, un nemico fuori, un nemico diverso, un nemico collettivo, si costruisce l'immaginario del teatro di guerra, si costruisce il senso dello scontro, il senso dell'arena e si attrae la violenza vera, la si risveglia, la si richiama dalle fogne, per poi passare alla violenza di stato, all'autorità.
Il circolo: indicare il nemico che distrugge l'identità, la comunità, il territorio, la casa, la radice, il dio, la patria, la famiglia, si evoca reazione, si evoca restaurazione si richiama la violenza di squadra per sopperire e per restaurare, si riapre e si rigenera la violenza di stato per ristabilire il dio, la patria, la famiglia, il territorio, la casa, la radice, la comunità, l'identità.

E' il fascismo.

non altro.

lunedì 26 maggio 2008

Meglio nane che mona.

E' VERO: c'è una distorsione elevata fra percezione e realtà. Fra l'insicurezza e i motivi usati, normalmente, per spiegarla. Ormai è quasi uno slogan che echeggia in ogni discorso. Quasi un riflesso pavloviano. Proviamo crescente paura della criminalità anche se la criminalità diminuisce oppure, comunque, non aumenta. Una considerazione banale. Osservare che non c'è motivo di avere paura. Però se abbiamo paura qualche motivo c'è. E comunque: abbiamo paura.

Questa è l'unica realtà. Per l'uomo politico, l'amministratore; il "responsabile" della nostra sicurezza, la soluzione migliore è, dunque, di assecondare le nostre paure. Fornirci immagini, a modo loro, rassicuranti per curare la nostra insicurezza. Dirci che non è colpa "nostra", ma degli "altri". I "microcriminali" ("tanto piccoli che quando ci muoviamo richiamo di calpestarli", ironizzava Marco Paolini, in una pièce di qualche anno fa: il "Bestiario Veneto"). Gli immigrati. Gli zingari. Gli altri, che ci minacciano. Perché violano, anzitutto, la nostra nostalgia. Il nostro senso di comunità spezzato. Il nostro piccolo mondo schiacciato dal mondo più grande che grava, incombe su di noi. Valutazioni realistiche e perfino scontate. Dette così, tra persone colte e ragionevoli, come siamo noi, possono risultare convincenti. Però vi sfido a fare lo stesso discorso alla gente che incontrate ai supermercati. All'uscita oppure all'ingresso. Mendicanti, accattoni, zingari, stranieri. Magari i tossici. Provate a dire alla "gente comune": sbagliate a temere queste figure. I marginali, gli ultimi del nostro piccolo mondo. Voi non vi rendete conto, ma in effetti, è il mondo "in grande" che vi spaventa. La vostra insicurezza è "ontologica", come direbbe Bauman. O forse Giddens. Nasce da lontano. Dalla crisi dei riferimenti cognitivi, dei fondamenti di valore, dell'ordine globale. E' questo che mina il senso della vostra vita. Poi, verificate le reazioni dei vostri interlocutori. Nel migliore dei casi, vi guarderanno con compassione. Come dei matti. O dei poveracci. Al pari di quelli che stazionano all'ingresso ( all'uscita) del supermercato. Dipende dai punti di vista. Il problema è questo: le spiegazioni più "radicali", quelle che isolano e individuano i problemi "alla radice" e permetterebbero, quindi, di "sradicarli", sono anche le più difficile da attuare. Perché richiedono tempi lunghi. Perché fanno riferimento a ragioni lontane da noi. Nel tempo, nello spazio. Ma, soprattutto, queste spiegazioni sonno comunque complesse. Difficili da chiarire e da capire. E quand'anche vi foste riusciti, quando, cioè, il vostro interlocutore avesse compreso che sì, la fonte della sua insicurezza non è (solo) lo zingaro, l'immigrato, l'accattone, lo sfigato, il tossico. Ma è la globalizzazione. Oppure la perdita della comunità. La scomparsa del territorio.

L'urbanizzazione sconvolgente che sconvolge le menti e le solidarietà. Quand'anche foste riusciti a chiarirlo bene, al vostro interlocutore - e, se fate politica oppure un amministratore: al vostro elettore. Poi, che cosa gli dite? Quale soluzione gli proponete? Di tornare indietro nel tempo? Al passato tanto bello in confronto a questo presente desolante? Oppure di distruggere palazzi, condomini e piazze per ricostruire l'ambiente umano di un tempo? Anche voi, dei "ragazzi della via Gluck", dediti a constatare, in modo poetico e dolente, che "là dove c'era l'erba ora c'è una città" (e campi nomadi, baracche, ecc.)?

Questo mi pare il problema maggiore per quanti avversano, giustamente, una concezione dell'insicurezza che tutto riduce alle "minacce nei confronti dell'incolumità personale". E diffidano di politiche securitarie che, invece di curare l'insicurezza, la moltiplicano. Politiche e provvedimenti miopi, incapaci di vedere (e pre-vedere) oltre la punta del naso. Ma se non hai soluzioni diverse, concrete, che, comunque, promettano (a torto o a ragione, non importa) risultati reali e realistici, rischi di passare per un "nane" (si direbbe dalle parti mie). Tradotto: un idealista un po' sciocco. Un poco tonto. A cui pochi si affiderebbero per risolvere problemi veri e drammatici, come la sicurezza.

Per questo occorre prendere le percezioni sul serio. Senza contrapporle alla realtà. Perché sono più reali della realtà reale. Prendere le percezioni sul serio. Ma senza crederci seriamente. Senza indossare, anche no, gli stessi occhiali deformanti. Come fanno molti uomini di governo centrale e locale che - ormai senza distinzione politica - inseguono le spiegazioni facili e semplici. Non solo operano per ristabilire la pulizia e la polizia dell'ambiente, contro zingari, accattoni, tossici e immigrati - naturalmente irregolari. Per le ragioni che ho scritto: è comprensibile. Ma neppure credibile che il problema stia lì. Che la causa siano gli "altri". Ma se non è credibile, meglio non crederci e non farlo credere alla gente.

Le percezioni: sono reali. Vanno prese sul serio. Trattate con rispetto. Tanto più le persone che esprimono. I "portatori sani" di giudizi indimostrati. Di pre-giudizi. Vanno prese sul serio. Però fingere di crederci. Anzi: crederci davvero. Questo no. Rispettare chi crede a una realtà irreale. Rispettare l'irrealtà come una forma di realtà. Tutto questo va bene. Ma considerare reale la realtà irreale. Anzi: l'unica realtà possibile. Dare ragione a chi la considera "vera". Ribadirne le convinzioni in modo convinto. No. E' troppo. Il divario tra percezioni e realtà, va ridotto, se possibile. Ma non solo e non necessariamente dalla parte della percezioni. Meglio lavorare per verificarle. Se necessario: smentirle e contraddirle. Senza rassegnarsi al "senso comune". Alle verità date per scontate, quando scontate non sono. Anche se e quando le "nostre" verità provate sono poco visibili, frustranti da accettare. Se contraddicono le verità percepite e i miracoli promessi. Se evocano soluzioni lontane e sgradevoli, perché coinvolgono "noi" e non solo gli "altri".

Se le nostre ragioni appaiono poco ragionevoli alla gente, meglio essere prudenti e umili. Senza rinunciare alle nostre ragioni, per il timore di passare da "nane".
Meglio nane che mona.

di Ilvo Diamanti

sabato 24 maggio 2008

Amalia Rodrigues - Grandola, vila morena




Questa canzone merita un piccolo inciso.
Grandola, vila morena è una storica canzone portoghese di José Afonso.
La canzone era stata proibita dal regime di Salazar, essendo stata dedicata ad una "Società operaia" della città di Grandola anch'essa dichiarata fuori legge da Salazar.
La canzone, trasmessa alla mezzanotte tra il 24 e il 25 Aprile del '74 da Radio Renascença, fu il "segnale" di inizio della Rivoluzione "dei garofani" che liberò il Portogallo dal regime Salazarista. Amalia Rodrigues, nel periodo del regime, era certamente la "voce del Portogallo" vista la sua fama mondiale e per questo, dopo la rivoluzione, fu osteggiata dalle forze della sinistra portoghese. Amalia Rodrigues cantò, dall'estero, Grandola Vila Morena, per confermare il suo assoluto e indiscutibile amore per il Portogallo. Anche in questo caso fu "un segnale".

Amalia Rodrigues - La casa in via del campo

Amalia Rodrigues - Vitti'na crozza

Amalia Rodrigues - Sciuri, sciuri (Ciuri, ciuri)

Sondaggio 2 - Politiche Giunta per città universitaria

Alla domanda

"Come valuti le politiche della Giunta Cialente per trasformare L'Aquila in una vera città universitaria?"

hanno risposto:

Quali politiche? 44%
Pessime 23%
Buone 18%
Giunta che? 12%
E' passato solo un anno. 1%

Sondaggio - Ministro ombra al programma

Qual è il compito del ministro ombra all'attuazione del programma?

Pretendere il rispetto del programma Berlusconi 40%
Pretendere il rispetto del programma Veltroni 2%
I programmi sono uguali, far rispettare l'uno... 32%
Non far capire un c... agli italiani 24%

martedì 20 maggio 2008

Fassino d'annata - II

«Penso che quelle espressioni dei ministri spagnoli siano state sbagliate»

Fassino d'annata - I

"Se rendi il reato penale non puoi espellere il clandestino fino a quando non è stato fatto un processo quindi intanto te lo devi tenere, lo devi mettere in carcere, aspettare che si faccia il processo. In questo modo l'espulsione immediata non la puoi fare, i tempi del processo possono essere anche non immediati".

lunedì 19 maggio 2008

Commission Recommendation

on the management of intellectual property in knowledge transfer activities and Code of Practice for universities and other public research organisations.

il testo della raccomandazione

Ministero della Semplificazione: Calderoli taglia le tre leggi di Newton

"troppo complicata la gravitazione universale"
Via la meccanica celeste. Restano il Sole, il meteorite di Armageddon e il pianeta di Guerre Stellari che piace molto al figlio di Bossi.



tratto dal miglior periodico in circolazione (Diario)

venerdì 16 maggio 2008

Donna violentata a Milano, arrestato un romeno

Non ho dovuto aggiungere niente stavolta.
In questo caso, guarda un pò, Repubblica.it nel titolo riporta la nazionalità.

Naturalmente è già scomparsa la notizia della donna violentata a roma da un italiano e dell'arresto dell'italiano.

Luca

Romena stuprata dentro al center da Italiano

E' il titolo di Repubblica.it
Ma "da Italiano" non è nel titolo. L'ho aggiunto io. E' solo dentro l'articolo.

In altri casi è stato
"Donna stuprata da romeno"
"Studentessa stuprata da romeni"
"Bosniaca stuprata da romeno"


I maschi carnefici italiani non meritano un titolo di giornale?

In ogni caso, per non smentirci, basterebbe dare il senso e il cuore della notizia:
Donna stuprata da uomo.

Ma forse non si vuole affrontare la regressione alla violenza dell'uomo ed affrontare il tema come una priorità della politica, una emergenza nazionale, politica e sociale.
Le paure e le insicurezze generate da una miserrima "classe" politica, da editori e capitalisti neo-fascisti, da giornalisti lacchè e senza un briciolo di libertà e autonomia intellettuale, le paure e le insicurezze oggettivamente generate dalla globalizzazione e alimentati dagli stessi di sopra, stanno facendo rispolverare e riesplodere tutte le risposte che ricostruiscono una presunta autorità, un presunto controllo, un presunto ordine sociale.
Tra questi c'è la ricostruzione dell'uomo padre-padrone-padrino.

giovedì 15 maggio 2008

Pog rom - 2

a novembre, all'apertura del blog, inserii un post chiamato Pog rom che riporto.

Dopo quello che è accaduto a Napoli, dopo le elezioni, nell'incredibile torsione autoritaria in coruso e nell'inseguimento a chi è piu' "repressivo" la preoccupazione è davvero alta.


Pog rom

Dico la verità, in questi giorni sto soffrendo moltissimo.
Ho la sensazione che questo paese non abbia gli
anticorpi necessari a "capire" e "contrastare"
eventuali svolte di stampo fascista.
Basta riflettere sulla morte della donna a roma,
a come sia stata "maneggiata"dai media e
dalla politica (con un inseguimento incredibile
tra media e politica...) in maniera spregiudicata.
Ed è stato semplicissimo varare provvedimenti di "emergenza"
sulla sicurezza che non credo abbiano eguali negli ultimi 40/50 anni.

Sono spaventato. La sinistra c'è cascata di nuovo;
ha soffiato sul fuoco pensando di "coprirsi" su un
tema che, aldilà delle parole, non ha saputo
affrontare culturalmente, finendo per provocare
un incendio facilmente cavalcato da fini e co.

E' vero, siamo su una polveriera.
Ma ci abbiamo acceso un falò sopra!
In pochi giorni abbiamo fatto enormi passi indietro.

Oggi è normale abbattere in un giorno il campo.
Oggi è normale espellere in un giorno migliaia
di persone affidando ai prefetti l'atto.
Oggi è normale prendere provvedimenti restrittivi
extra-jus per "pericolosità sociale".
Oggi è "comprensibile" l'ira di chi attua
violenze squadristiche.

Nel 2007 abbiamo già avuto alcuni pogrom (Opera, Milano).
I rom sono tra fuga e deportazione, di nuovo.

martedì 13 maggio 2008

Governo ombra, l'ombra del governo.

Ormai impazza la domanda.
Ed è davvero il simbolo del delirio cui è giunto Veltroni e il Pd.

Cosa dovrebbe fare il

Ministro Ombra per l'attuazione del programma ?

L'ombra della sinistra

Brunetta, Maroni, Sacconi, Matteoli, Scajola, Gelmini, La Russa hanno cominciato la loro avventura lanciando minacce, anatemi, deliri vari.
Non si comprende se i ministri ombra condividano le dichiarazioni, nè cosa pensino i "leader" del Pd.

Del governo ombra, hanno ragione, c'è solo l'ombra.
Della sinistra neanche l'ombra.

Girogirotondo - quasi quasi mi faccio una ronda

di Roberto Cotroneo

Alla fine sempre in tondo ci tocca girare. Dal paese dei girotondi al paese delle ronde. Va detto, erano meglio i girotondi, almeno c’era un po’ di piacere gioioso in quelle catene di mani che si tenevano assieme. Ora con le ronde il vento di destra soffia come non mai. Cittadini volenterosi, cittadini seri, cittadini emotivi, cittadini di An, e cittadini persino del Partito Democratico, e poi cittadini che diventano City Angels. Tutti in strada, disarmati, è ovvio, a difenderci dalle aggressioni, dai pericoli della strada. Gente che controlla che tutto sia a posto, e che utilizza taccuino e macchina fotografica, oltre naturalmente al cellulare.

Loro ci sono, le forze dell’ordine anche, quattro occhi sono meglio di due. Ma il clima comincia a suonare drammatico, persino grottesco: «Ci puoi riconoscere dal basco o berretto blu», dice il sito dei City Angels, «simbolo delle forze Onu portatrici di pace, e dalla giubba o maglietta rossa con sopra il nostro logo, un’aquila che protegge la città».

Il basco, certo, copricapo per eccellenza di tutti gli eserciti di tutto il mondo, dei partigiani, di Che Guevara. Loro li riconosci dal basco, e le ronde padane le riconoscerai dal verde scintillante, e quelle di An da che cosa le riconosci? Avranno un basco bordeaux come quello dei parà della Tuscania? E le ronde democratiche e di sinistra, invece? Basco nero come il Che. Ma non è che poi alla fine si confondono una con l’altra. La ronda padana litiga con la ronda di Alleanza Nazionale per il controllo delle strade e del territorio. E con le ronde di sinistra come facciamo? Applichiamo le percentuali delle elezioni, semplice. Il 30 per cento o poco più del territorio di una città va a loro. Possibilmente le zone centrali, quelle un po’ snob, dove si potrebbe vigilare su barboni, alcolisti disperati, con una certa attenzione al decoro urbano. Mentre nelle periferie ci mandiamo quelli che hanno una predisposizione quasi genetica al rondismo. Veri militari, armati di buona volontà e muscoli saldi (riguardo ai nervi, lasciamo perdere, è una pretesa eccessiva), pronti immobilizzare immigrati molesti, ladri di appartamento, rom con predisposizione al furto, e tutto quanto desta sospetto. Cammineranno allineati in mezzo alle strade, genere “intoccabili” e desteranno ammirazione in tutti. Le ronde si potranno ufficializzare creando un registro delle ronde. Con una normativa su divise, colori di appartenenza e zone di influenza. Si potrebbe anche tirare a sorte, e persino spostarle, da una città all’altra, se ce ne è bisogno, e per riunire il paese, dargli di nuovo un’identità nuova, mandare i rondisti padani a Catania, e i rondisti siciliani a Varese. Che sarebbe persino una bella cosa. I nostri ragazzi di ronda si potrebbero conoscere tra loro, e capirsi, e stare assieme.

Con il tempo la ronda, da fenomeno occasionale e spontaneo, oltre che emotivo, potrebbe diventare organico. E visto che molti giovani sono senza un lavoro fisso, si potrebbe decidere per la ronda di leva. Vieni chiamato per due mesi, una volta all’anno, a girare in tondo per quartieri a rischio, luoghi malfamati, e periferie povere e difficili. Senza armi, certo. Ma consapevole di un compito che ormai si potrebbe definire storico. Si potrebbe creare un comando generale delle ronde. E organizzare anche la sfilata dei rondisti nel giorno della ronda, che verrà stabilito dal Parlamento, con i loro baschi, i loro colori e le loro divise. Finalmente si potrà anche cominciare a pensare che la ronda possa diventare anche un’occasione di guadagno. Con Tremonti e Berlusconi al governo si potrebbe studiare un canone per le ronde, da pagare come l’Ici, e che permetterebbe ai comuni di finanziarle. I cittadini danno qualche euro e le ronde vengono stipendiate. Con il tempo anche sponsorizzate. Sulla camicia da rondista potremmo metterci un bel marchio, una griffe, e di sicuro gli stilisti potrebbero disegnare divise e stemmi, perché noi italiani siamo eleganti. E non è che mandiamo le ronde in giro come fossero degli straccioni.

Sarebbe opportuno, essendo ronde, decidere se ruotano in senso orario, o in senso antiorario. Sarebbe meglio il primo caso, ovvero da sinistra verso destra, vista la tendenza elettorale degli ultimi tempi, ma in Toscana e in Emilia, e certamente nella Bologna del sindaco Cofferati, è auspicabile il ruotare da destra verso sinistra. Ma accanto alla guardie padane, alla ronda di notte di quelli di destra, alle ronde di sinistra, tanto politicamente corrette, ci sono anche quelli che vorrebbero farsi una ronda tutta loro e non sanno come iniziare, quali moduli compilare, e se c’è qualche agevolazione fiscale. A parte che ci sono scuole di ronde che cominciano a nascere per l’Italia. Dove uno si iscrive, e comincia a girare in tondo per un po’, passeggia per la città con un istruttore, e ogni tanto fa il 113 e dice, individuo sospetto all’incrocio tra via Garibaldi e piazza Mazzini. Ma si potrebbe devolvere l’8 per mille della dichiarazione dei redditi alla propria ronda preferita. Ronde cattoliche, ronde comuniste, ronde progressiste e riformiste, ronde mistiche e pacifiste, ronde gandhiane. Anche ronde ambientaliste, certo, specializzate nel controllare che non si sporchino le spiagge o che i padroni dei cani puliscano come si deve il marciapiede.

Ci saranno ronde di cielo, ronde di mare e ronde di terra. Le ronde in pedalò e le ronde di montagna, perché i sentieri alpini mica sono più quelli di una volta, e ronde multinazionali e multietniche, ovviamente. Arriverà il giorno che i nostri nipoti potranno finalmente dire: se lei non se ne va, chiamo la ronda, anziché i carabinieri e la polizia. Perché tutti saranno rondisti, e l’ordine regnerà sovrano per l’intera penisola. E tutto sarà sotto controllo. E saremo finalmente un popolo ordinato e felice.

da l'Unità


lunedì 12 maggio 2008

Raffaele Lombardo

...
Chi è davvero Raffaele Lombardo?

È il cuffarismo ripulito, aggiornato con un elemento di sobrietà e con carattere di maggiore scientificità. Cuffaro è uno che sulla sua agenda ha i nomi di 30.000 clienti pronti a spendersi per lui, ai quali si sente in dovere di garantire amicizia, baci e preghiere per la Madonna. Lombardo di nomi ne ha 60.000, e con loro ha un rapporto di totale spregiudicatezza: voi siete i miei clienti, io sono il vostro garante, il nostro è un rapporto di mercato politico, io vi do e in cambio ricevo consenso, vi garantisco l’occupazione sistematica di tutti i luoghi della pubblica amministrazione e così costruisco il mio potere. Si cuce addosso un vestito da sartoria di provincia per cui tutto questo diventa una battaglia per l’autonomismo siciliano, ma in realtà non esiste centralismo politico più feudale. Da vicesegretario nazionale del suo partito, da grand commis della Dc, da presidente provincia, da vice sindaco di Catania, ha sempre accentrato nelle mani del potere politico per poi distribuire in termini di presidio militare delle istituzioni.

Chi c’è dietro di lui?
È ormai un sistema di potere che si autoalimenta. Le sue liste sono numerose perchè non sono soltanto un modo per essere eletti: per molti sono liste di collocamento, perché in base al punteggio che ottieni, poi diventerai portantino all’ospedale o direttore generale dell’Usl, a seconda del tuo peso specifico. Le scelte vengono misurate in funzione della capacità di raccogliere consenso, non ci sono meriti, capacità, competenze. Ci sono fedeltà da una parte, capacità di gestire consenso dall’altra. Ovviamente tutto questo è più forte all’interno della famiglia, e infatti la famiglia Lombardo è la meglio rappresentata in Italia: tra fratelli, cugini, cognati, è l’azionista di maggioranza di buona parte delle amministrazioni siciliane. Un sistema elevato alla perfezione, dove non c’è nulla né di romantico né di meridionalista. Anzi, è lo Stato centrale che in Sicilia si incarna nel centralismo della politica, in un uomo che decide tutto e decide per tutti.
...

estratto di intervista a Claudio Fava, Tratto da Left

domenica 11 maggio 2008

Sempre Travaglio su schifani

Chiedendo scusa per il disturbo, senza voler guastare questo bel clima di riverenze bipartisan al neopresidente del Senato Renato Schifani, vorremmo allineare qualche nota biografica del noto statista palermitano che ora troneggia là dove sedettero De Nicola, Paratore, Merzagora, Fanfani, Malagodi e Spadolini. Il quale non è omonimo di colui che insultò Rita Borsellino e Maria Falcone (“fanno uso politico del loro cognome”, sic) perché erano insorte quando Berlusconi definì i magistrati “disturbati mentali, antropologicamente estranei al resto della razza umana”: è proprio lui. Non è omonimo dell’autore del lodo incostituzionale che nel 2003 regalò l’impunità alle 5 alte cariche dello Stato, soprattutto a una, cioè a Berlusconi, e aggredì verbalmente Scalfaro in Senato perché osava dissentire: è sempre lui.

L’altroieri la sua elezione è stata salutata da un’ovazione bipartisan, da destra a sinistra. Molto apprezzati il suo elogio a Falcone e Borsellino e la sua dichiarazione di guerra alla mafia. Certo, se uno evitasse di mettersi in affari con gente di mafia, la lotta alla mafia riuscirebbe meglio. Già, perché - come raccontano Abbate e Gomez ne “I complici” (ed. Fazi) - trent’anni prima di sedere sul più alto scranno del Parlamento, Schifani sedeva nella Sicula Brokers, una società di brokeraggio fondata col fior fiore di Cosa Nostra e dintorni. Cinque i soci: oltre a Schifani, l’avvocato Nino Mandalà (futuro boss di Villabate, fedelissimo di Provenzano); Benny D’Agostino (costruttore amico del boss Michele Greco, re degli appalti mafiosi, poi condannato per concorso esterno); Giuseppe Lombardo (amministratore delle società dei cugini Nino e Ignazio Salvo, esattori mafiosi e andreottiani di Salemi arrestati da Falcone e Borsellino nel 1984). Completa il quadro Enrico La Loggia, futuro ministro forzista. Nei primi anni 80, Schifani e La Loggia sono ospiti d’onore al matrimonio del boss Mandalà. All’epoca, sono tutti e tre nella Dc. Poi, nel 1994, Mandalà fonda uno dei primi club azzurri a Palermo, seguito a ruota da Schifani e La Loggia. Il boss, a Villabate, fa il bello e il cattivo tempo. Il sindaco Giuseppe Navetta è suo parente: infatti, su richiesta di La Loggia, Schifani diventa “consulente urbanistico” del Comune perché - dirà La Loggia ai pm antimafia - aveva “perso molto tempo” col partito e aveva “avuto dei mancati guadagni”.

Il pentito Francesco Campanella, braccio destro di Mandalà e Provenzano, all’epoca presidente del consiglio comunale di Villabate in quota Udeur, aggiunge: “Le 4 varianti al piano regolatore… furono tutte concordate con Schifani”. Che “interloquiva anche con Mandalà. Poi si fece il piano regolatore generale… grandi appetiti dalla famiglia mafiosa di Villabate. Mandalà organizzò tutto in prima persona. Mi disse che aveva fatto una riunione con Schifani e La Loggia e aveva trovato un accordo: i due segnalavano il progettista del Prg, incassando anche una parcella di un certo rilievo. L’accordo che Mandalà aveva definito coi suoi amici Schifani e La Loggia era di manipolare il Prg, affinché tutte le sue istanze - variare i terreni dove c’erano gli affari in corso e penalizzare quelli della famiglia mafiosa avversaria - fossero prese in considerazione dal progettista e da Schifani… Il che avvenne: cominciò la stesura del Prg e io partecipai a tutte le riunioni con Schifani” e “a quelle della famiglia mafiosa, in cui Schifani non c’era”.

Domanda del pm: “Schifani era al corrente degli interessi di Mandalà nell’urbanistica di Villabate?”. Campanella: ”Assolutamente sì. Mandalà mi disse che aveva fatto questa riunione con La Loggia e Schifani”. Il tutto avveniva “dopo l’arresto di Mandalà Nicola”, cioè del figlio di Nino, per mafia. Mandalà padre si allontana da FI per un po’, poi rientra alla grande, membro del direttivo provinciale. E incontra Schifani e La Loggia. Lo dice Campanella, contro cui i due forzisti hanno annunciato querela; ma la cosa risulta anche da intercettazioni. Nulla di penalmente rivelante, secondo la Dda di Palermo. Nel ‘98 però anche Mandalà padre finisce dentro: verrà condannato in primo grado a 8 anni per mafia e a 4 per intestazione fittizia di beni. E nel ‘99 il Prg salta perché il Comune viene sciolto per infiltrazioni mafiose nella giunta che ha nominato consulente Schifani. Miccichè insorge: “E’ una vergognosa pulizia etnica”. Ma ormai Schifani è in Senato dal 1996. Prima capogruppo forzista, ora addirittura presidente. Applausi. Viva il dialogo. Viva l’antimafia.

Travaglio su schifani

Lettera al sindaco - Aprire una riflessione per cambiare passo.

Carissimo Sindaco,

ad un anno dalla grande vittoria dell’allora centrosinistra alle elezioni comunali, il movimento di Sinistra democratica, ha aperto una profonda riflessione collettiva sull’attività amministrativa. Ben consapevoli dell’eredità pesante lasciata dall’amministrazione precedente, il movimento ritiene che alla grande forza del risultato elettorale non siamo stati in grado, come coalizione, di corrispondere con una adeguata spinta al necessario cambiamento. Il programma presentato agli elettori è un programma ambizioso e non c’è dubbio che nessuna amministrazione si possa “valutare” ad un anno dal mandato. Eppure a noi pare, confortati dal nostro costante rapporto con i cittadini, che su troppi campi non sia evidente l’indirizzo, la strada che l’amministrazione ha intrapreso per il raggiungimento degli obiettivi fissati. Il rischio, il rischio terribile per una città come L’Aquila ancora in cerca di una sua identità per il XXI secolo, è che si proceda “alla giornata”.

Un anno fa abbiamo, insieme a tutto il centrosinistra, indicato alcune linee-guida per l’amministrazione della città.

L’Aquila città dell’Hi-tech, della Ricerca, dei saperi e dell’Università;

cultura, qualità, ambiente e comprensorio per lo sviluppo “dei turismi” ;

sostenibilità e recupero urbano, funzione pubblica della pianificazione, nuovo Prg per un sistema urbano policentrico di qualità attento alla città-territorio.

welfare municipale e studentesco;

qualità dei servizi e riorganizzazione delle società partecipate.

Queste sono alcune delle questioni che erano e rimangono centrali per un reale cambiamento della città e sulle quali è indispensabile un passo nuovo.

Nel programma indicammo anche un metodo, centrato sulla partecipazione, sulla democrazia urbana e sulla cittadinanza. Un metodo che è anche uno stile e che ci induce, a partire da questa lettera, a chiedere che il passo nuovo sia il frutto di una riflessione ampia, del centrosinistra e delle cittadinanze attive. Una riflessione che permetta di individuare e rimuovere gli ostacoli che impediscono il dispiegarsi completo dell’azione amministrativa.

I ruoli distinti del Sindaco, della Giunta nella sua funzione di esecutivo collegiale, del Consiglio e della sua maggioranza, dei Consigli di circoscrizione e degli amministratori delle società partecipate devono concorrere, nelle distinte responsabilità, all’esercizio del governo del cambiamento.

Con questa lettera Sinistra democratica vuole aprire questa riflessione, chiedendoti, non solo un incontro e un confronto con il gruppo e il coordinamento comunale di Sd, ma anche un confronto con l’assemblea aperta di Sinistra democratica.

Naturalmente questa riflessione non è e non vuole essere esclusiva tra Sinistra democratica e il Sindaco della città, per questo chiederemo a tutte le forze del centrosinistra di fare insieme questo percorso, consapevoli che in una fase in cui si è dissolta la coalizione dell’Unione a livello nazionale, vanno ricercate e ricostruite le ragioni per un rinnovato centrosinistra, ragioni che permettano un governo condiviso dell’amministrazione comunale.

Salutandoti, ribadiamo la richiesta di un incontro al più presto, per avviare insieme questa riflessione.

Luca D’Innocenzo
Coordinatore Comunale Sinistra democratica

Giustino Masciocco
Capogruppo Sinistra democratica Comune dell’Aquila

venerdì 9 maggio 2008

Esci partito dalle tue stanze!

È bene all'interno di Sinistra Democratica discutere su ciò che è accaduto e sulle cose che dovremo decidere. Ed è bene che ciò si faccia in punta di verità, affrontando intanto una domanda dolorosa, ma necessaria: abbiamo fatto bene ad andarcene dai DS? A cercare una strada nostra e a rifiutare l’approdo ecumenico nel Partito Democratico? Io sono convinto di sì. Il progetto del PD (e lo dico senza che ciò suoni da conforto per i nostri errori) ha rivelato le contraddizioni, le semplificazioni e le reticenze che avevamo previsto con largo anticipo. Se fossimo rimasti dentro, magari con il pretesto di dar vita alla sinistra del PD, oggi saremmo ridotti a una delle molte correnti incattivite di quel partito, accanto a veltroniani, dalemiani, amici di Letta, ex popolari, fedeli di Prodi e reduci di Rutelli. Roba da nozze con i fichi secchi.
Bene facciamo a non nutrire rimpianti. E bene faremo a non emulare il Pd nei sui vizi. Per cui, compagni e amici, facciamo sforzo di sincerità. Siamo rimasti – nelle forme organizzative, nei rapporti personali, nell’elaborazione della nostra attività – la mozione di minoranza di un partito (che nel frattempo aveva cessato di esistere). Di più. Siamo stati percepiti come una somma di mozioni: ci battevamo, con onesta generosità, per una sinistra unita e plurale ma intanto facevamo fatica a elaborare il lutto dai DS, dalle sue formule congressuali, dalle sue pratiche autoreferenziali. Abbiamo continuato a coltivare con religiosa sacralità i concetti di “area”, “sensibilità”, “componente”: categorie che forse un tempo hanno avuto una loro ragione d’essere, ma che oggi fanno parte di un malinconico rituale politico.
Sia chiaro: non si tratta di rifiutare una dialettica forte, vera e perfino aspra sulle cose da fare, sui gesti da compiere, sui riferimenti culturali e politici da assumere: si tratta di non incartare questa dialettica in un gioco delle parti. È ciò che ci mandano a dire gli elettori smarriti, quelli migrati altrove o rimasti a casa: dateci un segno che una nuova stagione della politica non sarà soltanto la somma di vecchie liturgie e di vecchi gruppi dirigenti. Ci chiedono un segno concreto che sappia mettere in discussione linguaggi, categorie, pratiche. Quel segno, diceva bene Carlo Leoni qualche giorno fa, passa anche attraverso la capacità di rivedere e di rilanciare le forme della partecipazione alla vita di Sinistra Democratica.
Ed è questo un punto discriminante. Di fronte al comprensibile passo indietro di Fabio Mussi dai ritmi e dalle responsabilità della sua funzione di coordinatore, vogliamo ridurre questa partecipazione a una frettolosa contabilità di assemblee locali per eleggere il nuovo coordinatore del movimento? Magari per tornare a contarci e ricontarci? Tutto qui?
Credo che sarebbe ingeneroso nei confronti di Mussi, come se davvero il colpo d’ala di Sinistra Democratica sia legato alla scelta d’un nuovo “leader”, dimenticando che Fabio - responsabile come tutti noi per le scelte, i ritardi e gli errori di questa fase – più di noi ha saputo mantenere in questi mesi la linea di una assoluta, intransigente coerenza con il progetto fondativo del nostro movimento. Ma sarebbe ingeneroso anche nei confronti della nostra gente che chiede protagonismo e partecipazione sulla politica nel suo complesso. Sulle cose da fare. Sui terreni concreti su cui misurarsi. Sul modo di rendere Sinistra Democratica un luogo inclusivo, aperto, contaminato e finalmente arricchito anche da chi non proviene dall’esperienza dei DS.
Partecipare vuol dire allargare, aprire, condividere. Anche per questo non mi riconosco più in un dibattito su quale debba essere la nostra tradizione politica di riferimento: se quella comunista, quella socialista, l’ambientalista… È un vecchio gioco, una collezione di nomi e di memorie che alla fine non produce nuova politica ma solo gestione dell’esistente. Qualcuno crede che verremo giudicati per un’astratta evocazione delle categorie del socialismo o del comunismo, o piuttosto per le scelte, i gesti, le azioni? A Vicenza s’è vinto non per aver messo al centro le proprie tradizionali appartenenze ma perché un candidato sindaco, e la coalizione che lo appoggiava, ha detto ciò che il governo Prodi non aveva saputo dire, ovvero che sulla base militare di Dal Molin non decideranno gli americani ma i vicentini, con un referendum che restituirà a ciascuno di loro piena sovranità sulla loro vita. È stata una battaglia ascrivibile al socialismo europeo? Alla falce e martello? Gli elettori non se lo sono chiesti. Si sono chiesti semplicemente se questa sinistra li avrebbe saputi tutelare e rappresentare di fronte all’arroganza di quella base.
Insomma, cari compagni, abbiamo o no l’umiltà e il coraggio di comprendere cosa ci sia dietro quel “tre” politico che ci è stato assegnato alle ultime elezioni? Gli italiani ci mandano a dire che questo è un paese diseguale, sgraziato, confuso, ingenuo, un paese di caste e non di classi, un paese in cui stanno male, malissimo, il laureato disoccupato, il ceto medio con stipendi in caduta libera, l’operaio che rischia di crepare in fabbrica, il ricercatore universitario a 800 euro al mese, il precario invecchiato in attesa del posto fisso, il commerciante meridionale condannato a pagare il pizzo...
Gli elettori di sinistra che ci hanno voltato le spalle non vogliono sapere se faremo parte della famiglia del socialismo europeo o dell’internazionale comunista, e nemmeno se falce e martello saranno ancora un minuscolo logo in fondo al nostro simbolo come le prescrizioni di un medico. Vogliono sapere chi siamo, cosa vogliamo fare per questo paese, come ci faremo carico della sua concreta, drammatica richiesta di cambiamento. Vogliono sapere in che modo crediamo di ricostruire una forma della politica che parta dal basso e dagli altri, non da noi stessi. Gli elettori di sinistra ci chiedono di aprire le nostre finestre e di guardare fuori, per capire cosa accade oltre la linea del nostro consueto orizzonte. Che è cosa più complicata e meno rituale del semplice “ritorno sul territorio”. Mayakowski, poeta e comunista, alla fine si ammazzò perchè stufo di un comunismo fatto di regole, liturgie e primi della classe. Ma prima ci mandò a dire, in un solo verso, tutta la sua rabbia, tutta la sua disperazione, tutta la sua verità: “Esci partito dalle tue stanze, torna amico dei ragazzi di strada”.

Claudia Fava

notte tra l'8 e il 9 Maggio. 1945 - Reichstag


martedì 6 maggio 2008

Inceneritor

Quello degli inceneritori rapprenta uno dei nodi centrali del programma di fine legislatura che stiamo completando. La formula sarà quella della joint venture pubblico privata. Personalmente sono per una scelta coraggiosa che porti alla realizzazione di almeno due impianti e, possibilmente, anche di tre, la localizzazione dei quali potrebbe essere all'estremo nord e all'estremo sud della costa abruzzese e nella Marsica. La prospettiva consentirebbe di abbattere le notevoli spese di trasporto del pattume. Ovviamente occorrerà predisporre una grande campagna di incentivazione della raccolta differenziata che, del resto, ha senso solo se legata all'utilizzo degli inceneritori, potendo trattare solo i rifiuti secchi.

Ronde notturne

Ronde “com’era ‘na vote” : dalle 00.00 alle 6.00 saranno setacciati gli appartamenti, le piccionaie, le cantine, i sottoscala e i sottotetti dove tipicamente albergano, a pagamento, gli studenti universitari. Le irruzioni saranno a sorpresa e penetreranno fino alle camere. Gli studenti e le studentesse colte a copulare rumorosamente saranno denunciati alle autorità ecclesiastiche e accademiche, per una sana rieducazione, e le mamme e i papà saranno avvertiti su come i propri figli e le proprie figlie passino il tempo invece di studiare e dormire come i genitori ingenuamente credono.

Ronde nere: Gireranno per tutto il centro storico. Saranno malmenati tutti coloro che professeranno una qualche diversità. Non sei aquilano, botte. Non sei cattolico, botte. Non sei eterosessuale, botte. Non sei di destra, non ci crediamo, ma botte comunque. Sei donna, esci di notte, sei fuori sede, atea, di sinistra e magari con qualche tendenza lesbo, te la sei cercata, violenza completa e di gruppo.

Ronde rosse: Diluite nella folla, per non farsi riconoscere. Saranno occhi e orecchie per la sinistra marxista-leninista e per la sinistra zapatista e zapaterista. Ogni manifestazione di critica e di dissenso verso i capi carismatici, che dovesse essere captata tra la folla, sarà registrata e archiviata. I ribelli saranno oggetto di campagne mediatiche di diffamazione e saranno indicati al popolo come le cause di tutti i mali. Obiettivo delle ronde rosse è far colpire sistematicamente gli assemblamenti dalle ronde nere, dalle ronde degli esercenti e dalle ronde armate, per arrivare alla distruzione dei fenomeni di aggregazione libera, povera e di massa, troppo sfuggente al controllo delle cricche sinistrorse.

Ronde degli esercenti: saranno organizzate direttamente dai locali notturni, vigileranno affinché nessuno possa scampare alla legge del mercato. Chiunque sarà colto in via o in piazza a bere qualcosa di non acquistato direttamente nei locali notturni a prezzi esorbitanti sarà denunciato per schiamazzi, colpito da un B52 acceso in pieno volto e obbligato a pagare un gin lemon per tutti i partecipanti all’assemblamento extra-mercato. L’acqua delle fontane sarà avvelenata per evitare rischi di abbeveramento selvaggio.

Ronde parrocchiali:
Tutte intorno alla chiesa di S.Pietro ad assicurarsi che nessuno scavalchi la cortina di ferro issata per dividere il sacro suolo dagli infedeli che, non a caso, ne minacciano l’integrità dal varco aperto da Guelfi (via dei).

Ronde armate:

Vigili urbani, polizia, carabinieri, con volanti, camionette, stazioni notturne saranno dispiegati per tutto il centro storico. La legalità e il silenzio dovranno prendere il sopravvento dalla Fontana Luminosa a Piazza Duomo. Il centro storico, ormai preda di bande (?), sarà ripulito dalla feccia che l’abita nelle ore serali. I bunker dove si rifugiano gli universitari-banditi con le proprie molotov saranno liberati e sventrati. Le periferie, rassicurate, ringraziano.

Eventuali incidenti tra le varie ronde saranno da ritenersi effetti collaterali di una guerra chirurgica di precisione.

lunedì 5 maggio 2008

Nakba

Da Ramallah Irene Ghidinelli Panighetti

Entrano nel vivo in tutto il mondo, e in quello arabo in particolare, le azioni in memoria dei Sessant’anni della Nakba, la catastrofe palestinese, ovvero la fondazione dello stato di Israele nel maggio del 1948. Sessant’anni di negazione della giustizia e della dignità per il popolo palestinese, che ancor oggi soffre ogni giorno dell’occupazione e dell’oppressione israeliana, con le grosse difficoltà e umiliazioni negli spostamenti per andare a scuola o al lavoro, con le quotidiane azioni repressive dell’esercito e gli arresti arbitrari, fino alla vera e propria guerra aperta contro i Palestinesi della Striscia di Gaza. Senza dimenticare le sofferenze dei milioni di profughi interni ed esterni: almeno la metà della popolazione che abitava la Palestina storica vive oggi in un forzato esilio all’estero, nei campi profughi dei paesi arabi vicini, ma un altro 23% è profugo nella propria terra, cacciato dai villaggi originari occupati dagli israeliani e dai sempre più numerosi coloni. La questione di profughi è al centro delle manifestazioni in Palestina, grazie all’impegno di diverse associazioni, in particolare di Badil, il Center for Palestinian Residency and Refugee Rights e del dipartimento per i rifugiati dell’ANP. Questi stanno riempiendo di cartelli le principali città della Cisgiordania, per ricordare a tutti il dramma dei profughi e per invitare alla mobilitazione.

Ma azioni, eventi, mostre, iniziative culturali sono in corso in tutto il mondo, dal Canada alla Scozia, dagli Stati Uniti all’Australia, dall’Indonesia all’Austria, dalla Spagna all’Italia: nello specifico nel nostro paese Sabato 10 maggio ci sarà una manifestazione nazionale a Torino con le parole d’ordine: libertà per la Palestina e il suo popolo e la contestazione della decisione di avere come ospite d’onore lo stato di Israele nell’edizione di quest’anno della Fiera del Libro.

Importanti le mobilitazioni in Egitto, dove al Cairo dal 4 al 8 Maggio sono organizzate giornate di riflessione dedicate alla Palestina, così come le azioni nei campi profughi in Libano, che prendono il via il 6 maggio per culminare il 14, il giorno preciso della Nakba. In Palestina un ora di sciopero generale dalle 12 alle 13 è indetta per l’8 maggio, il giorno della dichiarazione della nascita dello stato di Israele secondo il calendario ebraico,e a Nazareth, ci sarà l’annuale marcia per il diritto al ritorno dei profughi; dal 7 all’11 un festival della letteratura palestinese coinvolgerà diverse città della Cisgiordania (Gerusalemme, Ramallah, Jenin, Betlemme) per sensibilizzare anche sul piano; ma il culmine delle azioni sarà il 15 maggio, con azioni principali ai check point di Qalandya, presso Ramallah (dove vi è anche uno dei più miseri campi profughi) e Betlemme (dove i campi profughi sono ben tre a pochi chilometri di distanza, circondati dalle sempre più fiorenti colonie). Nello specifico un nutrito gruppo di attivisti che si è nominato: Justice is the key to tomorrow, sta organizzando il lancio di 21.915 palloncini neri, (numero risultante dalla moltiplicazione dei giorni di un anno per 60 anni) con l’intento di tingere di nero il cielo delle celebrazioni israeliane. A ciascuno di questi palloncini sarà legata una lettera di una bambina o bambini palestinese, nella si potranno leggere i loro sogni e speranze. Inoltre il gruppo chiede a tutte le persone del mondo di vestirsi di nero, un gesto semplice e simbolico per sostenere la lotta per la giustizia del popolo palestinese. Il 15 maggio dunque anche in Italia vestiamoci di nero, e, se possibile, liberiamo in aria un palloncino nero, con appesa un nostro messaggio da lanciare al mondo in solidarietà con la Palestina.